lunedì 16 gennaio 2012

CHI ARRIVA PRIMA ASPETTA

Sono un enorme rompipalle. Uno di quelli che criticano tutto e tutti. Non mi vergogno di dirlo, sono un pedante cronico. Un sofistico. Un rompi coglioni. Proprio per mantenere alta tale fama, oggi me la prendo con un tema evergreen: la coda.

Già la parola stessa, coda, indica qualcosa di estraneo alla natura umana. Più innaturale di un piercing sul glande, la coda ha la caratteristica di non avere pregi. Come un piercing sul glande. Per ogni maledetta situazione c'è una fila da seguire, un numero da aspettare, una linea da non varcare in rispetto della privacy. Come se sapere il numero di conto corrente di chi ci precede, permettesse di guadagnarci qualcosa sopra. Ma cominciamo dal principio della giornata: la colazione. Chi fa colazione al bar sa bene che, se non vuole far tardi al lavoro, deve scegliere il posto meno affollato per non sprecare tempo. Di solito i bar meno affollati sono anche quelli con i vetri appannati, le sedie bucate, l'acqua che sa di pozzo, le mosche a dicembre, senza zucchero di canna, senza il resto di dieci euro ma in compenso con le bariste racchie. Il tempo necessario per un caffè deve essere calcolato tenendo conto della coda per il parcheggio, la coda per ordinare, la coda per consumare e la coda per pagare. Il tutto per quale fine? Per rimettersi in coda in macchina, ormai terribilmente in ritardo, direzione ufficio e il cagotto che fa la linguaccia dal culo.

Arrivati al lavoro c'è la coda per parcheggiare e la coda per l'ascensore, sempre troppo affollato. Una volta seduti alla scrivania si parte con le attese al telefono e si termina con la coda alla macchinetta del caffè. Il tutto per poi uscire dal lavoro e mettersi in coda in auto per la pausa pranzo. Pranzo che se consumato a casa è fin troppo celere, ma se si è optato per un luogo pubblico diventa una corsa contro il tempo. E di solito vince sempre lui, il tempo.

Per non parlare poi della disgrazia che è fare la coda in posta o in un qualunque altro sportello. Attendere il proprio turno per poter pagare: vita puttana. E allora ci si ritrova in questa filiale troppo piccola per contenere tanta gente, con la solita fila di persone a precedere il nostro numero. Sembra provengano tutti da una vecchia gag di "Candid Camera" e che ci seguano nelle situazioni disperate per anticiparci di un soffio nello staccare il numerino. Il quale, per essere raggiunto, necessita di una mini-coda. Stacco il mio: Z999. Guardo il tabellone senza un briciolo di speranza. Appunto: A001.

La fila sembra scorrere più velocemente di quanto potessi aspettarmi: il tempo necessario a goku di sconfiggere freezer nel primo epico scontro sul pianeta namecc (circa 12.000 ore, praticamente il tempo di volo necessario al pensionamento per un comandante di boing 747). Ecco, è ppena scattato l'A193, ormai ci siamo, penso. Ancora la saga di cell e majin bu ed è fatta.

Z998. Il mio accerrimo nemico si alza, si posiziona davanti all'impiegata e, da una valigetta minuscola, estrae una treccani di documenti. Lo sapevo. Lo vedo girarsi verso di me e rivolgermi uno sguardo demoniaco. Ricambio lo sguardo mefistofelico e dentro di me gli auguro di vincere una crociera nel mediterraneo.

Nonostante tutto riesco a pagare la mia misera bolletta da 30 euro. Finalmente ora posso rimettermi in coda con la macchina per tornare a casa. Appena arrivato entro in camera. Non accendo nemmeno la luce per non rovinare quel momento intenso e mi getto sul letto. Cado rovinosamente su di un corpo duro e spigoloso. La bestemmia esce naturale dalla mia bocca come una bocca esce naturale dal pene di rocco siffredi. O qualcosa del genere. Mi lancio sull'interruttore della luce. Lo riconosco. Mi guarda da sotto le coperte con quel suo maledetto sorriso stampato in faccia, mentre mi mostra il cartellino: Z998.

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